CAPITELLO DEI DRAGHI
navata sinistra, quarta colonna



Vicino per motivi stilistici al precedente è questo capitello con quattro figure, tre femminili e una maschile, impostate agli angoli e circondate da draghi le cui code si intrecciano, le zampe posate su racemi che formano foglie e vanno a coprire le parti intime delle figure umane. Mons. Valente Moretti (2004) lo interpreta come il capitello dell'Inferno, seguito dalla Fornasari (2005), identificando la figura maschile con Lucifero e quelle femminili con allegorie della lussuria; per il Gandolfo (2003) invece l'uomo anziano, che non pecca di lussuria a causa dell'età avanzata, si sottrae a questo peccato non per suo merito: lo studioso propone questa lettura per il confronto con una figura simile nel pulpito della chiesa di S. Maria del Lago a Moscufo (Pescara), del 1159, che lo scultore Nicodemo eseguì a stucco.
Anche questo capitello si presta a diverse interpretazioni: le figure femminili sfiorano con le mani il collo dei draghi e li circondano in parte con le braccia, come ad accoglierli; vi vedo una posa molto simile all'iconografia della
potnia theron, la signora degli animali, che appare già nelle culture preistoriche e torna con varianti attraverso i secoli. Questo motivo si trova anche in epoca romanica: in area emiliana, per esempio, appare in un capitello proveniente dalla chiesa di San Giovanni in Borgo (ora ai Musei Civici di Pavia, sala X), dove la figura femminile tiene per il collo due draghi dalle code intrecciate, o nel Portale dello Zodiaco della Sacra di San Michele in Val di Susa, dell'architetto e scultore Nicholaus (attivo fino al 1139), in un capitello dove due donne allattano serpenti. Ho posto volutamente l'accento sull'area emiliana - Nicholaus, o Niccolò, è di origine piacentina - perché il capitello di Gropina, insieme al precedente, è stato avvicinato stilisticamente proprio a Nicholaus e alla sua cerchia (Gandolfo 2003): attivo a Pavia, a Ferrara e a Verona intorno all'epoca della prima fase romanica di Gropina, Nicholaus accoglie influenze di Wiligelmo e della scultura della Linguadoca, e proprio con questa regine della Francia il Salmi aveva notato affinità a proposito del capitello della nostra pieve. I tralci sinuosi e percorsi da piccoli elementi a rilievo, come il trattamento dei capelli a lunghe linee dritte, appaiono anche nei capitelli di Gislebertus e officina al Saint-Lazare di Autun (c. 1125-1145).
Le figure femminili che allattano draghi o serpenti sono state interpretate come allegorie della lussuria, ma anche della madre terra che nutre tutti i viventi: quest'ultima proposta cambierebbe completamente la lettura dell'intero capitello, non più rappresentazione dell'Inferno ma della vita in divenire, con la figura dell'uomo anziano dall'espressione come contrariata o infelice e in atto di afferrarsi la barba quale simbolo opposto: la vecchiaia, la vita arrivata quasi al termine. Non diversamente, la figura citata dal Gandolfo nel pulpito di Moscufo fa parte del ciclo della vita e ne rappresenta l'ultima tappa. Con l'allegoria dell'Inferno contrasterebbe anche l'assenza della simbologia consueta di Lucifero, come le corna o il tipo di espressione: talvolta la scultura architettonica romanica pone grossi problemi di interpretazione allo storico dell'arte, ma questa "sfida" che giunge dai secoli è uno dei motivi di entusiasmo e di interesse di questa professione.


Indice